maggio 18, 2019

Verso le Europee con la finanza dissestata – Attilio Pasetto

Il Def ha certificato che il 2019 sarà anno di stagnazione. I conti pubblici peggiorano e, con la flat tax e il mancato aumento dell’Iva, rischiano di andare fuori controllo. Salvini spera che una grande vittoria sovranista cancelli le politiche di austerità, ma si illude. Il sentiero che da settembre porterà alla manovra 2020 si preannuncia strettissimo.

Secondo le stime preliminari il prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,2% nel primo trimestre 2019 rispetto al quarto trimestre 2018, interrompendo due trimestri consecutivi di decrescita e portando per ora l’economia italiana fuori dalla recessione. Questo però non fa esultare nessuno, nemmeno il governo, che nel Documento di economia e finanza 2019 ha previsto per quest’anno una crescita tendenziale dello 0,1%, che salirebbe allo 0,2% per effetto delle misure varate con il decreto crescita e con lo sblocca-cantieri. Finalmente il governo ha preso atto che il 2019 sarà un anno di stagnazione, senza quindi alcun impatto sostanziale sulla domanda interna del reddito di cittadinanza e di quota 100, i provvedimenti su cui è stata finora impostata la politica economica.

I motivi di preoccupazione sono però soprattutto altri. Il primo è che sia il decreto crescita che il decreto sblocca-cantieri presentano entrambi forti criticità. Innanzitutto saranno convertiti in legge dal Parlamento soltanto alla fine di giugno, quando cioè la prima parte dell’anno se n’è già andata. Inoltre avranno serie difficoltà a produrre effetti positivi. Il decreto crescita avrà bisogno di ben 39 provvedimenti attuativi, tra decreti ministeriali e altri atti amministrativi, mentre sullo sblocca-cantieri incombono tempi lunghi a causa di regolamenti da riscrivere e accavallamento con norme preesistenti.Anziché semplificare il codice degli appalti, come si riprometteva il governo giallo-verde, si finirà probabilmente per renderlo ancora più complicato, creando notevoli dubbi interpretativi. E nel frattempo i cantieri, anziché sbloccarsi, rimangono chiusi.

Il secondo motivo di forte preoccupazione è che ancora una volta si vogliono fare le riforme senza tenere in minimo conto lo stato effettivo delle finanze pubbliche. La mancata crescita si traduce in un aumento del rapporto deficit/Pil ben superiore al 2% concordato a dicembre con la Commissione europea. In realtà, secondo la stessa Commissione, il deficit quest’anno raggiungerà il 2,5% e il debito il 133,7%. Il costo del debito, ossia lo spread, è attualmente oltre i 260 punti base, con una spesa per interessi, che è al 3,6% del Pil e salirà al 3,7% nel 2020. L’Italia è l’unico fra i maggiori paesi dell’area euro in cui il tasso d’interesse pagato sul debito è superiore all’aumento nominale del Pil. Il primo nel 2018 era pari al 2,9% contro l’1,7% del secondo. In Germania il costo del debito era l’anno scorso all’1,5% contro il 3,3% della crescita, in Francia all’1,9% contro il 2,5%, in Spagna al 2,5% contro il 3,5%. Non ci vuole molto a capire che, se il costo del debito è superiore alla crescita, la finanza pubblica rischia di andare rapidamente fuori controllo.

In una situazione del genere, il governo anziché varare serie misure espansive pensa ad aumentare il disavanzo. Già ha promesso di disinnescare le clausole di salvaguardia sull’Iva, che valgono 23 miliardi nel 2020 e 28,7 nel 2021. A questo si deve aggiungere il rifinanziamento del reddito di cittadinanza e di quota 100. Come se non bastasse Salvini vuole introdurre la flat tax, anche se ancora non ha spiegato come. Tenendo conto delle spese indifferibili, il costo della prossima manovra economica si avvicina pericolosamente ai 35-40 miliardi di euro. Con un deficit, secondo la Commissione, al 3,5% e un debito al 135,2% nel 2020.

Il governo naturalmente si augura in una grande vittoria sovranista alle elezioni di maggio. Ma le previsioni non sembrano andare in questa direzione. E comunque, anche se i populisti riuscissero a condizionare il governo dell’Unione, non faranno certo sconti all’Italia su deficit e debito. Già l’hanno dimostrato molto chiaramente quando si è discussa la legge di bilancio 2019 e lo hanno ribadito in questa campagna elettorale.

E’ sicuro invece che, passate le elezioni, il 5 giugno la Commissione europea presenterà il conto all’Italia per il mancato rispetto degli obiettivi concordati, richiedendo una manovra molto pesante. A quel punto i mercati finanziari torneranno a colpire e il governo si troverà, come nel dicembre scorso, a un bivio. O far saltare il banco, con conseguenze inimmaginabili al di là della procedura d’infrazione che sicuramente ci farà l’Europa, o chinare il capo, ridimensionando le proprie pretese, come successo con l’ultima legge di bilancio. In entrambi i casi a risentirne sarà il Paese in termini di credibilità e di fiducia da parte degli investitori internazionali.

 

 

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