ottobre 17, 2018

194 UNA LEGGE SOTTO ATTACCO

Era il 22 maggio del 1978, l’Italia era ancora sotto choc per il ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro, il partito democristiano faceva i conti al proprio interno e il Parlamento emanava la legge 194 per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, dopo una lunga battaglia referendaria portata avanti da movimenti femministi e dal Partito Radicale.

Un traguardo legislativo, per alcuni, che mise fine alla piaga degli aborti clandestini e alle tante morti, all’epoca delle “mammane”, dei viaggi all’estero per evitare il carcere e della condanna sociale senza appello per le donne “colpevoli” di aver abortito.  Una legge sbagliata e pericolosa per altri, che legittima un atto contro la vita e apre un dibattito etico che ancora non si è spento. Per tutti, però, resta uno spartiacque cruciale nella storia del Paese, che ha costretto gli italiani a fare i conti con una realtà innominabile e ha cancellato le leggi del codice penale che punivano con il carcere chi si sottoponesse all’aborto, e insieme chi lo procurasse o ne istigasse la pratica.

In prima fila, nella raccolta delle firme per il referendum e poi nella battaglia in Parlamento, l’allora segretario radicale Gianfranco Spadaccia, Marco Pannella, Adele Faccio ed Emma Bonino. Si raccolsero 800mila firme, ma al referendum si preferì la via legislativa parlamentare che portò poi alla legge 194.

Simbolo di quella battaglia, come di tante altre sul fronte dei diritti civili nazionali e internazionali, fu l’esponente radicale e oggi senatrice Emma Bonino, che proprio da un’esperienza personale e dall’attivismo nel C.I.S.A. (Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto) a sostegno delle donne che volevano abortire in sicurezza, avviò la linea della disobbedienza civile.

Nel ’74, era già passato il referendum per il divorzio aprendo tutta una stagione di grande fermento sui diritti civili, mentre sul fronte femminile si erano formati parecchi collettivi, e proprio durante questo periodo di effervescenza scoppiò il caso della clinica di Firenze in cui i Radicali, con Adele Faccio e il CISA, accompagnavano le donne ad abortire in sicurezza con il dottor Giorgio Conciani, seguendo la linea della disobbedienza civile. Poi, nel gennaio del ’75 il giornale di destra Il Borghese fece esplodere lo scandalo e arrestarono Emma Bonino, Gianfranco Spadaccia e Adele Faccio. In sintesi un percorso tormentato che portò alla proposta di referendum e poi alla legge 194.

I quel periodo i Radicali guidati da marco Pannella avevano lanciato con L’Espresso la raccolta di firme per il referendum abrogativo delle leggi che punivano come reato l’aborto, e portarono avanti tutta una serie di campagne di disobbedienza civile, ma pur di evitare il referendum si preferì andare a elezioni anticipate dove in parlamento vennero eletti quattro Radicali, tra cui Emma Bonino.

Il referendum, rimase sul tavolo e ancora nel ’78, sempre per evitarlo, si trovò un accordo politico attraverso una legge con degli elementi di compromesso, per certi versi anche un po’ ipocriti, che consentì alla DC di lasciarla passare. E così passò la legge nel maggio del ’78, in un clima di grande effervescenza sui diritti civili,;una stagione che si portò dietro il voto ai diciottenni, l’obiezione di coscienza e la riforma del diritto di famiglia.

Una legge imperfetta è però la giusta definizione, infatti restano  alcuni elementi da cambiare, uno teorico anzitutto, per cui lo stesso atto ha definizioni diverse a seconda del luogo in cui lo fai, se per esempio l’aborto viene praticato in un ospedale pubblico non è reato, o comunque è perdonato, se invece lo fai in una clinica privata rimane reato.  A rendere difficile l’applicazione della legge incide l’aumento degli obiettori di coscienza (nel 2016 il 70% sul totale dei ginecologi) e la chiusura di tanti consultori. Ci perciò molte questioni da risolvere a partire dalla questione dell’obiezione di coscienza, talmente diffusa che fa sì che in intere Regioni la legge 194 non possa essere applicata perché mancano i medici non obiettori.  C’è aperta anche la questione dell’ammodernamento tecnico scientifico della procedura, per cui una tecnica usata ovunque, sicura e molto meno invasiva come l’aborto farmacologico e l’utilizzo dell’RU486 – la pillola abortiva – nel nostro Paese è ancora pochissimo diffusa. Sono questi gli scogli più importanti per la buona applicazione delle legge.

In sintesi e concludendo l’introduzione all’incontro pubblico sulla legge 194, la questione non è mai stata il “diritto ad abortire”, ma il diritto alla libertà di scelta sul se e quando diventare madre ed è sicuramente meglio poter decidere con la prevenzione, la pillola o altro. Il dato di fatto è che restano comunque numerosi casi in cui non è così e per una donna l’aborto può diventare l’ultima risorsa, mai piacevole, perché sempre e comunque un peso psicologico ed emotivo molto importante.

Dagli anni ’80 gli aborti sono più che dimezzati e in calo anche tra le categorie più svantaggiate come quelle delle immigrate.

Questa è la dimostrazione che la legge funziona, che incentiva le donne a usare tecniche contraccettive e in parallelo disincentiva l’aborto, e quello clandestino in particolare, avviando le donne a un percorso di family planning.

Si possono educare i giovani anche attraverso la scuola in primo luogo, e naturalmente la rete. Non si fa ancora abbastanza, tutto è migliorabile e del resto nel nostro Paese parlare di educazione sessuale rimane un tabù.

Un paese democratico è un paese dove le leggi consentono la convivenza di credenti, non credenti e diversamente credenti. Punto.

Dal punto di vista legislativo non ci sono discriminazioni per le donne oggi, ma il problema piuttosto è sempre l’applicazione delle leggi che tutelano la parità.

Ci sono anche superamenti culturali che stentano, la donna rimane moglie e madre, una sorta di “signora dai mille lavori” che si divide tra la gestione domestica, quella dei figli.

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