maggio 5, 2019

per un’Europa dei diritti civili

Per chi i diritti li ama da sempre, come noi, in Italia sono tempi bui. Ma è all’Europa che dobbiamo guardare. Da europei, ne abbiamo tutto il diritto.

L’Unione Europea è l’area del mondo che assicura la maggiore tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. È qualcosa di cui andare molto fieri, ma non tutti gli stati membri abbracciano in tutto questa definizione. A partire purtroppo dall’Italia, in cui tanti di questi diritti vengono ancora messi in discussione, i paesi in cui certe libertà vengono apertamente minacciate, come l’Ungheria di Orban, sono proprio quelli che non intendono cedere sovranità sul tema dei diritti individuali e rivendicano il diritto a un’eccezione nazionale. Sono, quindi, i paesi meno europei. Per questo ci chiamiamo +Europa. Perché l’Europa che vogliamo non ha confini, soprattutto non di genere, non di religione, non di colore della pelle, di orientamento sessuale, di età, di disabilità. Vogliamo un’Europa di cui andare fieri, completamente. Un’Europa da amare, in ogni forma.

Europa baluardo dei diritti umani e civili, per tutte e tutti.

Dobbiamo esigere che i paesi membri dell’Unione uniformino al rialzo il livello di tutela e protezione dei diritti umani e delle libertà civili, riconoscendo piena cittadinanza e dignità a ogni individuo. È necessario sanzionare e ridurre la quota di fondi europei per quei paesi membri che invece imboccano la strada della limitazione, in qualsiasi forma, delle libertà personali, dei diritti delle minoranze e della libertà di accesso alla libera informazione. Ad esempio, vogliamo che le coppie omosessuali congiunte civilmente vedano riconosciuto automaticamente il loro nucleo familiare in ogni paese dell’UE sulla base di leggi condivise e senza dover aspettare, di volta in volta, le sentenze di singoli giudici.

L’importanza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo

Su alcuni temi civili – dalla fecondazione assistita, al riconoscimento delle famiglie omosessuali, dai diritti delle persone detenute, al trattamento dei migranti – l’Italia è stata ripetutamente condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che, pur senza essere un’istituzione dell’Unione, sanziona le violazioni dei diritti fondamentali negli stati membri dell’Ue. La stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a vigilare sull’osservanza dei trattati, è stata in molti casi fondamentale non solo per censurare la violazione da parte degli stati del diritto comunitario, ma, contestualmente, per proteggere i cittadini da queste violazioni e per affermare i loro diritti fondamentali. Ad esempio, proprio una sentenza della Corte di Giustizia europea ha riaperto in Italia, nella scorsa legislatura, la questione della responsabilità civile dei magistrati.

Una Cittadinanza Europea, per dare ai diritti piena cittadinanza

Le quattro “libertà di movimento” (di persone, beni, servizi e capitali) su cui si fonda il funzionamento del mercato comune ha tradotto in termini economici il principio di una piena e uguale cittadinanza europea, che sul piano dei diritti individuali è invece ancora lontana dal pieno compimento.

In Italia non vi è praticamente alcuno dei temi di scontro sui diritti civili (famiglia, diritti LGBT, fine vita…) in cui la posizione nazionalista non sia insieme anti-europea e ostile all’adeguamento degli istituti giuridici al mutamento del costume sociale. Come sui temi economici, anche sui temi civili, il nazionalismo oppone alla libertà degli individui e delle formazioni sociali il “primato” delle decisioni dello Stato. Esattamente come negli anni 30, protezionismo e stato etico, violazione delle libertà economiche e oppressione delle libertà morali dei cittadini, sono due facce della stessa medaglia.

A questa sfida, l’Unione non può rispondere solo con le sentenze delle sue corti, ma deve ormai reagire con un’iniziativa politica, come quella avviata (e ben lontana dal concludersi) dal Parlamento europeo contro l’Ungheria, in base all’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, per la violazione dei diritti umani e della libertà di stampa e di associazione. Perché l’Ue rimanga un presidio della libertà dei cittadini europei, non deve tollerare zone franche di violazione dei diritti umani all’interno degli stati membri e deve reagire con gli stessi strumenti già messi a disposizione dai trattati europei.

L’Europa è donna: per un continente senza confini di genere

L’Europa ha tra i suoi membri alcuni dei paesi più avanzati al mondo nel garantire una piena integrazione delle donne nella vita economica e sociale. Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Non solo alcuni paesi – tra i quali l’Italia – procedono a rilento su questo percorso e restano lontani dal garantire a tutte le donne le opportunità che meritano, altri sembrano addirittura indietreggiare, guidati da una nostalgia per tempi passati.

Vogliamo impegnarci perché questo non accada, e anzi affinché l’Europa continui a giocare al rialzo sull’eguaglianza tra uomo e donna. Innanzitutto estendendo a tutti i paesi membri le esperienze positive che hanno funzionato in molti paesi: dal congedo parentale obbligatorio anche per gli uomini alle normative per la parità nelle retribuzioni tra uomo e donna, dai sistemi di denuncia e protezione contro la violenza e il femminicidio alla promozione dell’educazione tecnico-scientifica tra le ragazze. E affrontando anche le grandi sfide che ancora restano irrisolte, e che anzi rischiano di peggiorare in futuro, per esempio con l’invecchiamento della popolazione che richiederà di pensare modelli nuovi per la cura delle famiglie e degli anziani.

Immigrazione: per restare umani ci vuole l’impegno di tutti

Un welfare e un mercato del lavoro realmente europeo deve farsi carico anche della ripartizione fra Paesi membri dei flussi migratori in arrivo. Oggi la questione è rimessa ad accordi ormai superati dalla tattica del “braccio di ferro” fra Stati. In definitiva è il ritorno della legge del più forte, sulla pelle dei più deboli e sfortunati. Ma se lasciamo che ogni paese difenda da solo le proprie frontiere, il risultato sarà solo un disastroso incremento dei conflitti interni nell’Unione (come dimostrano le minacce sul Brennero della sovranista Austria contro la sovranista Italia). Occorre invece una visione – che muova dall’umanesimo europeo, dal principio di eguaglianza, dalla centralità della persona, dell’individuo, della sua dignità, volontà e libertà – e soprattutto occorre una gestione globale e coordinata del fenomeno. C’è bisogno di un piano europeo. C’è bisogno di più Europa.

L’Europa deve ripudiare la logica del “reato di soccorso” e riconoscere agli stranieri più deboli e ai perseguitati che le si rivolgono lo stesso statuto di diritti inviolabili che riconosce ai propri cittadini. Deve assumere come europee le competenze necessarie a disciplinare e governare la presenza e l’integrazione, definendo politiche legali e adeguate di collocamento, integrazione, ingresso, circolazione, ricongiungimento, asilo ed espulsione, eguali e integrate in tutti i Paesi membri. È necessario introdurre in tutti gli Stati membri dell’Unione – coerentemente con l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) “Welcoming Europe”, che sosteniamo – i meccanismi che permettano ai migranti e ai rifugiati vittime di reati di presentare ricorsi e sporgere denunce alla polizia in modo sicuro, dando piena attuazione a quanto previsto dalle normative UE in materia. Le istituzioni europee devono essere messe innanzitutto in condizione di gestire le frontiere europee con un proprio contingente di mezzi e persone; occorre istituire un diritto di asilo europeo con l’apertura di canali legali e sicuri per proteggere chi scappa dalla lesione di diritti umani, con piani di ricollocamento proporzionato all’interno di tutti i Paesi membri.

La sempre più vecchia Europa, con i suoi bassi tassi di natalità, può e deve organizzare ordinate politiche di ingresso degli stranieri che vogliano integrarsi, lavorare o riunirsi alla propria famiglia, e deve farlo anche nell’interesse delle popolazioni europee, che già non sono più in grado di produrre le risorse sufficienti ad assicurare la previdenza necessaria a se stesse. Il fenomeno migratorio verso l’Europa deve essere affrontato con gli strumenti del diritto internazionale, investendo nelle politiche d’integrazione, cioè nelle sole politiche che incrementano la coesione sociale, ripensando l’urbanistica e investendo nelle periferie, per superarne il degrado.

maggio 5, 2019

per un’Europa dell’innovazione

Il futuro è fatto di reti, tecnologia, innovazione. Ma tutto questo è fatto dalle persone. È sulle persone che dobbiamo investire, per diventare grandi.

Viviamo in un momento di grandi cambiamenti: la rivoluzione digitale non è mai cessata e per affrontarla c’è bisogno di restare sempre aggiornati e innovarsi continuamente. Una grande Europa è un’Europa che permette ai suoi cittadini di diventare grandi, per il loro bene e per il bene di tutti gli altri. Come italiani, sentiamo la responsabilità di mettere i nostri talenti in condizione di crescere, muoversi, esprimersi, creare, innovare. Come? Creando reti sempre più efficienti, promuovendo la ricerca e la cultura, non mettendo limiti alla voglia di conoscere. Non è un sogno, è un progetto concreto. Noi lo chiamiamo futuro.

La sfida dell’innovazione e la rivoluzione digitale

L’Unione Europea risulta ancora periferica rispetto alle principali direttrici dello sviluppo tecnologico mondiale degli ultimi anni per l’intera filiera dell’innovazione, nonché alla dimensione strategica dell’IoT e del 5G come presupposti per una società interconnessa, con una tendenza che va assolutamente invertita a pena di perdere centralità e rilevanza nell’arena globale. Esistono comunque molti settori nei quali le applicazioni di intelligenza artificiale e di gestione di grandi moli di dati non si sono ancora espresse appieno e possono quindi rappresentare importanti aree di sviluppo, come ad esempio il settore della meccanica e dell’automazione delle linee di produzione. L’economia digitale e la sharing economy richiedono un livello di investimento infrastrutturale che ci si aspetta arrivi dal settore pubblico che nel lungo periodo sarà difficilmente sostenibile (5G, reti intelligenti, cyber security, interoperabilità dei sistemi pubblici, ecc). Per raggiungere l’obiettivo di creare la nuova economia sostenibile, senza che il settore pubblico diventi il freno e anzi esaltando il ruolo di sviluppo di sistema che può avere, è necessario che le azioni siano ispirate a un unico approccio strategico: dar forza, sostenere e enfatizzare le iniziative della Commissione europea relative al Digital Single Market e alla creazione della Digital Data Economy, stimata in 739 miliardi di euro entro 2020, e un peso pari al 4% del PIL europeo.

Reti digitali europee: più connesse, più sicure

Sempre più il successo della maggior parte delle aziende dipende dal loro accesso al mondo online. Una connettività diffusa e affidabile resta quindi la condizione essenziale per qualunque avanzamento tecnologico ed economico dell’Europa. Gli Stati europei – e in particolare l’Italia – dovranno continuare a investire per il cablaggio 5G, WiFi e Fibra Ottica, in maniera complementare al progetto UE per il 5G, sperimentando anche soluzioni innovative che mettano in rete risorse di connettività comprate dai privati, come nel mondo dell’energia elettrica. Parallelamente va potenziato l’impegno dell’Unione Europea per garantire la sicurezza delle reti e di tutto l’ecosistema digitale europeo, in coordinamento con gli Stati membri per garantire la domanda di prodotti e servizi certificati nei bandi pubblici e certificare standard adeguati all’interno del mercato europeo.

Utilizzare i dati a nostro vantaggio, non contro di noi

Va completato il mercato unico digitale, vanno rimossi gli ostacoli alla portabilità dei dati e definiti standard e protocolli europei per la sicurezza cibernetica e la privacy. È fondamentale sperimentare soluzioni capaci di fronteggiare le concentrazioni di potere informativo in capo a soggetti pubblici e privati. Sul fronte della circolazione di dati e informazione, il principio di portabilità introdotto dalla GDPR è un buon inizio verso modelli di accesso ai dati personali che garantiscano migliore efficienza. Bisogna però andare oltre e stare al passo con le sperimentazioni che sono già in corso nella creazione di veri e propri data trust, mercati di dati o altri modelli che garantiscano al tempo stesso privacy, efficienza economica ed equità. È una sfida che può essere vinta solo a livello europeo.

“Diritto alla scienza”, per trasformare i talenti in innovazione

È l’avanzamento della conoscenza umana il presupposto indispensabile per il progresso dell’innovazione e il miglioramento delle nostre condizioni di vita. Dobbiamo mettere gli italiani e gli europei nelle condizioni di avanzare nella ricerca e di innovare, in tutte le scienze e discipline. Difendere e promuovere il “diritto alla scienza” e la massima diffusione del metodo scientifico, orientando la legislazione affinché accompagni e promuova la libertà della comunità scientifica nell’esercizio responsabile della libertà di ricerca verso nuovi traguardi conoscitivi, e consenta ai cittadini di accedere e beneficiare delle nuove conquiste, eliminando le differenze talvolta significative che ancora persistono tra diversi paesi dell’Unione. L’approvazione dell’accordo generale sulla programmazione UE 2021-2027 Horizon Europe sarà un appuntamento fondamentale per dare ulteriore impulso alla ricerca e all’innovazione in Europa.  Ci impegniamo nella negoziazione che si aprirà con la nuova legislatura europea tra il Parlamento Europeo e il Consiglio ad aumentare il bilancio complessivo del programma nonché il peso all’interno di essi dei finanziamenti alla ricerca di base, riconoscendola quale motore fondamentale dell’avanzamento della conoscenza. Dobbiamo raggiungere l’obiettivo di aumentare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo fino al 3% del PIL nazionale. Inoltre ci impegniamo affinché in ambito europeo si adottino ulteriori misure volte a incrementare e promuovere la mobilità dei talenti tra paesi dell’Unione, aumentando borse di studio e semplificando e uniformando le procedure di riconoscimento dei titoli di studio accademici.

L’Europa avanguardia della cultura

I grandi balzi in avanti della civiltà europea sono stati innanzitutto delle rivoluzioni culturali. L’Europa deve continuare a farsi avanguardia e produttrice di cultura in tutte le sue forme, dalle arti al pensiero. Vogliamo che l’Unione Europea riconosca alla cultura un ruolo centrale nelle proprie strategie di sviluppo sociale ed economico, alla pari di altri servizi e beni essenziali come l’istruzione o la sanità. È necessario aggiornare i criteri esistenti per l’assegnazione e l’investimento di fondi europei, cercando di limitare i divari nell’offerta di servizi e prodotti culturali. In fase di erogazione dei finanziamenti europei, è importante che ogni membro dell’Unione – e in particolare l’Italia – riconosca la specificità in termini di accesso al credito e disponibilità di liquidità delle imprese culturali e di altri soggetti del terzo settore, istituendo meccanismi che facilitino la loro partecipazione a bandi e finanziamenti.

Docenti più europei, per una scuola che insegni il futuro

L’apertura dei confini in Europa ha aggiunto negli ultimi anni un ulteriore elemento di separazione tra coloro che sono nelle condizioni di beneficiare a pieno delle nuove opportunità e gli altri. Occorre portare uno sguardo europeo in tutte le scuole per poter aprire a tutti gli studenti le porte dell’Europa. Il modo migliore per farlo è partire dai docenti, deputati ad aprire le menti dei nostri giovani e stimolare la loro curiosità. Occorre rendere realmente possibile una vera “mobilità formativa” dei docenti, consentendo un anno di formazione e apprendimento sul campo da realizzare in un altro paese membro.

maggio 5, 2019

Per un’Europa che cresce attraverso il lavoro

Creare lavoro, con risorse più semplici da ottenere. E al contempo, non lasciare indietro nessuno, con formazione, sussidi e pensioni davvero comunitarie.

Per creare lavoro, dobbiamo lavorare insieme. È arrivato il momento di immaginare un mercato del lavoro e un welfare davvero europeo, con regole e strumenti di protezione comuni ma soprattutto con un obiettivo comune: abbattere le barriere culturali, linguistiche e amministrative per premiare l’impegno, la preparazione e la voglia di fare. Unire gli sforzi e le opportunità di ciascun paese per creare una rete unica in grado di dare a studenti, lavoratori, disoccupati, pensionati, piccole e medie aziende il futuro che meritano. Un futuro che offre opportunità da cogliere a chi può farlo, senza lasciare indietro nessuno.

Verso un mercato unico del lavoro

L’Europa ha elevata densità demografica, ottime vie di comunicazione, alta urbanizzazione: tutte condizioni che favoriscono la mobilità interna continentale. Questa tuttavia rimane assai bassa, se paragonata a quella statunitense, e questo riduce le possibilità dei cittadini europei di cogliere le opportunità di lavoro e di vita laddove queste si presentano. Le barriere culturali e linguistiche sono un ostacolo importante, ma ci sono anche difficoltà di natura legale e amministrativa su cui è necessario intervenire, nel mercato del lavoro autonomo e in quello dipendente: solo per citare le principali, la difformità dei criteri di valutazione degli studenti, le barriere ancora esistenti per il riconoscimento dei titoli di studio, le barriere all’ingresso nelle professioni, le disparità nei benefici di welfare e la portabilità dei diritti pensionistici.

Al tempo stesso, la mobilità di lavoratori da un paese all’altro dell’Unione comporta una perdita economica secca da parte dei paesi di provenienza. Non si tratta solo della perdita di capitale umano – spesso anche qualificato – ma della riduzione dei contributi versati alle forme di supporto e previdenza ancora organizzate su base nazionale. Questo è insostenibile all’interno di un’unione federale e apre la porta a fenomeni di divergenza in cui shock temporanei possono avvitarsi in crisi profonde di lungo periodo. Non solo infatti la caduta del PIL e delle entrate fiscali di uno degli Stati membri dell’Unione non è compensata da trasferimenti da Bruxelles (come invece avviene per esempio negli Stati Uniti), ma lo spostamento di lavoratori dai paesi in crisi verso quelli in crescita mette di fatto a repentaglio lo stato sociale anche per coloro che restano a lavorare nel proprio paese.

A questo si sommano le disparità regolatorie tra i diversi Paesi, legate ad esempio a norme giuslavoristiche, al carico fiscale e contributivo o relative alla sicurezza sul lavoro, che contribuiscono ad alimentare distanze tra i paesi, determinando in alcuni casi fenomeni di concorrenza al ribasso (il cosiddetto dumping sociale). Occorre una nuova stagione di riforme della legislazione europea, per l’introduzione di un quadro di regole comuni che riconosca le differenze e le sensibilità nazionali, che elimini le principali barriere alla mobilità dei lavoratori ma che favorisca una maggiore armonizzazione dei diritti sociali. In linea con il percorso indicato dal Parlamento Europeo, il mercato del lavoro europeo dovrà mettere al centro la partecipazione dei lavoratori alla gestione d’impresa.

#AssegnoEuropeo, il fondo Ue che raddoppia i fondi per le giovani imprese

Sempre più start-up e imprese europee chiedono la creazione di uno spazio legislativo semplice, protetto e comune a tutta l’Unione Europea in cui crescere e investire: un ecosistema integrato, con regole comuni e coerenti su questioni attinenti a tassazione, mercato del lavoro, accesso al capitale e tutela dei brevetti. Questo faciliterebbe gli scambi e le operazioni tra Paesi diversi, permetterebbe sinergie continentali e aumenterebbe le possibilità di successo per le nostre migliori giovani iniziative, sia profit che no profit. Vogliamo l’istituzione di un “Assegno Europeo”, un fondo pubblico europeo che sostenga le nuove e buone idee con un meccanismo semplice: investire un importo pari a quanto concesso alle imprese da fondi di venture capital e private equity, selezionati tra quelli che rispondono a determinati criteri di solidità finanziaria. In questo modo, si lascia al mercato e agli esperti del rischio d’impresa la selezione dei progetti da finanziare, sottraendola a burocrazie non sempre capaci di individuare l’innovazione, e si “raddoppia” con le risorse pubbliche quelle dell’investitore privato. L’obiettivo, in sinergia con con il programma “InvestEU” recentemente emanato, è quello di ampliare le opzioni di finanziamento non bancario per le start up, soprattutto quelle che nascono nelle aree più periferiche d’Europa e mostrano maggiori difficoltà di accesso al credito.

#SussidioEuropeo, un sostegno per l’occupazione di tutti gli europei

Occorre creare strumenti paneuropei di protezione e previdenza sociale, a partire da un Sussidio Europeo contro la Disoccupazione. Nel breve periodo, questo potrebbe essere finanziato da ogni Stato attraverso un contributo proporzionato al PIL, mentre nel lungo termine dovrebbe essere alimentato da un sistema paneuropeo di contribuzione da parte di aziende e lavoratori, che integri i sistemi nazionali. Un tale sussidio sarebbe lo strumento più efficace per dotare l’Unione Europea della capacità di intervento nelle aree più depresse, in cui si verificano crisi localizzate, calo della domanda e aumento della disoccupazione. Le caratteristiche del sussidio potranno variare, dalla fissazione di importi nazionali legati al potere d’acquisto a un tetto massimo di utilizzo nazionale delle risorse comuni, ma la misura sarebbe un primo fondamentale passo nella costruzione di un’unione economica e fiscale, non solo monetaria.

Lifelong Learning: la formazione continua dei lavoratori europei

Anche a livello europeo occorre affiancare al sussidio di disoccupazione, politiche che aiutino i lavoratori a costruire e migliorare costantemente le proprie competenze nel corso della propria vita lavorativa. Apprendimento permanente, non inteso come “riqualificazione”, ma come elemento cardine di un più complessivo diritto soggettivo di ogni cittadino alla formazione. I cambiamenti sempre più veloci che si susseguono in tutti i campi ci impongono di finalizzare in modo più puntuale gli investimenti per la formazione lungo tutto l’arco della vita e per le politiche attive, impedendone un uso improprio dovuto all’identificazione di questi strumenti come forme di ammortizzatori sociali. Il “lifelong learning” acquista valore anche rispetto a temi sociali (quali la riduzione delle disuguaglianze) e di crescita civile (quali la responsabile consapevolezza di nuovi diritti e l’impegno nella costruzione degli strumenti per farli riconoscere), ma, soprattutto, è la via maestra per rafforzare la qualificazione dei cittadini che da una riorganizzazione del sistema educativo nel suo complesso possono aspettarsi di essere finalmente messi in condizione di avere opportunità e strumenti permanenti. Non è più sostenibile un sistema basato su una separazione netta tra una fase della vita nella quale si accumula il sapere necessario per le fasi successive e altre fasi nelle quali, al massimo, lo si aggiorna.

Contributi pensionistici riconosciuti in tutta Europa

In attesa di uno stato sociale realmente europeo, si stanno facendo i primi passi per garantire una maggiore interoperabilità dei diversi sistemi nazionali. Vogliamo che l’Europa acceleri in questa direzione, con l’introduzione di un unico codice identificativo contributivo europeo che segua nei loro spostamenti i lavoratori e le aziende per facilitare l’aggiornamento dei relativi dati fiscali e contributivi. Questo diminuirebbe il rischio di frode e “welfare shopping”, ridurrebbe la burocrazia e permetterebbe una maggiore chiarezza sulla totalizzazione dei contributi ai fini pensionistici per quei lavoratori che abbiamo vissuto in più di un paese europeo.

maggio 5, 2019

per un’Europa liberale e liberista

Mettere insieme quello che abbiamo a disposizione per stare meglio tutti, nel rispetto delle regole. Perché la crescita sia una regola, e non l’eccezione.

Crescere è più facile, se lo si fa insieme. Il mercato unico europeo ha origini antiche, è nato ancora prima dell’Unione Europea e forse è per questo che un po’ lo diamo per scontato. Eppure i vantaggi sono incalcolabili: la libertà di movimento, la maggiore concorrenza, la possibilità per le imprese di rivolgersi a un mercato di 500 milioni di consumatori. Va ribaltato il modo in cui guardiamo al nostro continente, dando al sud il valore che ha davvero e guardando all’Africa come un’opportunità e non come un pericolo. Unendo le forze potremo finalmente parlare di un mercato all’altezza dell’Europa.

Raddoppiare il bilancio Ue per raddoppiare gli investimenti

L’Unione deve trovare una nuova intesa sulla gestione delle politiche economiche nella quale sia possibile affiancare al criterio della finanza pubblica sana, una visione proiettata verso il futuro che si basi sulla ripresa dell’integrazione e forti investimenti comuni. Le condizioni finanziarie favorevoli dovrebbero essere sfruttate per mobilitare risparmio pubblico e privato verso questi obbiettivi. Serve una capacità fiscale più forte dell’Unione per implementare politiche comuni, dall’istruzione alla difesa, dalla ricerca al controllo dei confini e alla gestione dell’immigrazione. Occorre aumentare la dimensione dei fondi gestiti direttamente e di allargare la capacità di spesa dell’Unione. Oggi l’Unione Europea ha un bilancio pari appena all’1% del PIL europeo. Un’inezia, se paragonato ai bilanci degli Stati nazionali o alle sempre maggiori aspettative di intervento dell’Unione nei più disparati ambiti sociali, economici, ambientali o di sicurezza. Noi crediamo che sia opportuno raddoppiare l’entità del bilancio europeo, sia attraverso una maggiore cessione di risorse nazionali (a parità di pressione fiscale per i cittadini contribuenti) sia con il miglioramento della tassazione a livello europeo delle società, soprattutto nell’ambito del digitale, che operano su più paesi sfruttando regimi di tassazione favorevoli.

Un mercato davvero unico, in tutto e per tutto

Il mercato unico resta incompleto, soprattutto nel settore dei servizi. È necessario applicare con determinazione le norme europee sulla concorrenza per garantire costi minori per i consumatori. Nel settore delle telecomunicazioni bisogna andare verso una maggiore integrazione armonizzando le regole del mercato relativo all’assegnazione delle frequenze per superare l’attuale frammentazione su base nazionale. È urgente completare l’unione bancaria, con il pilastro mancante dell’assicurazione dei depositi, e l’unione del mercato dei capitali, in modo che i grandi eccessi di risparmio possano muoversi a finanziare investimenti produttivi nelle aree ancora in difetto di convergenza. È necessario creare regole comuni a disciplina dei rapporti commerciali tra imprese, per esempio sul tema del riconoscimento e del recupero dei crediti. Le potenzialità del mercato unico dovrebbero essere sfruttate maggiormente anche nell’ambito degli appalti pubblici dei singoli stati nazionali. Per le aziende italiane, l’accesso alle gare di appalti pubblici in altri Stati resta molto problematica.

Un antitrust europeo evoluto per il mercato globale

Sempre in tema di concorrenza, nonostante la Commissione Europea nella sua storia abbia bloccato solo una percentuale bassissima di fusioni tra grandi aziende, il compito principale dell’antitrust europeo (evitare monopoli e garantire che nuovi operatori possano entrare nel mercato nel rispetto delle regole) resta fondamentale. Allo stesso tempo si deve tenere conto che in alcuni settori la dimensione delle aziende europee diventa importante per competere nel resto del mercato globale; vanno fatte quindi valutazioni che tengano in conto anche i potenziali benefici della creazione di campioni industriali europei in alcuni settori strategici.

Reti e infrastrutture per unire le nostre energie

Il mercato unico va attrezzato e arricchito con le infrastrutture e le reti di comunicazione necessarie per la sua effettiva integrazione: dalle reti per il trasporto delle fonti energetiche, a cominciare da quelle a basso impatto ambientale, per diminuire i costi di accesso all’energia in tutti i territori, diversificare le fonti e diminuire la dipendenza energetica da pochi fornitori esterni (come il gasdotto Tap), alle reti ferroviarie ad alta velocità per le persone e le merci – a cominciare dalla Tav Torino-Lione per avvicinare tra loro i cittadini, le imprese e i territori dell’Unione.

Gestione digitalizzata degli appalti pubblici

L’Unione Europea ha un programma per la digitalizzazione delle procedure di acquisto di beni e servizi da parte dei governi che però resta vago sugli aspetti di interoperabilità dei sistemi digitali nazionali, e la cui implementazione è comunque in ritardo. Una vera gestione di appalti pubblici in digitale in tutta UE, con servizi interoperabili, aumenterebbe il mercato interno e quindi le possibilità di partecipare a bandi oltre frontiera. La tracciabilità aiuterebbe a prevenire la corruzione, particolarmente diffusa in questo ambito.

Una politica agricola a misura di impresa

La centralità degli aiuti della Politica Agricola Comune nelle scelte imprenditoriali delle aziende agricole ha spesso effetti distorsivi che devono essere progressivamente ridotti. La politica deve limitarsi a offrire un quadro di regole certo all’interno delle quali le imprese possano operare scelte improntate essenzialmente alla razionalità economica. È necessario un massiccio processo di sburocratizzazione e semplificazione di tutti i meccanismi di erogazione e controllo. Vanno favoriti inoltre l’aggregazione dell’offerta e l’accorpamento fondiario, per superare l’eccessivo nanismo delle imprese agricole e consentire economie di scala più vantaggiose. Va perseguita con decisione la strada dei trattati commerciali come il CETA, che favoriscono la diffusione e la tutela del Made in Italy agroalimentare nel mondo e che hanno il merito di porre condizioni e regole chiare per la protezione dei consumatori e dell’ambiente.

Mai da soli: l’importanza degli accordi commerciali bilaterali

Date le difficoltà di ripresa dei negoziati del WTO, la cui centralità nel commercio mondiale va comunque ribadita e difesa, l’Europa deve continuare a perseguire la strategia bilaterale nei negoziati commerciali, e l’Italia deve restare profondamente integrata in questo sistema, dal momento che i singoli Stati nazionali non hanno la forza negoziale sufficiente a concludere accordi bilaterali equilibrati e vantaggiosi. Il periodo di sperimentazione del trattato di libero scambio con il Canada (CETA) ha dimostrato gli enormi vantaggi che questo tipo di accordi può offrire alle nostre imprese.

#CapovolgiLaCartina: verso il Mezzogiorno e il Mediterraneo

Ancora oggi siamo abituati a guardare all’Africa con gli occhi di alcuni decenni fa.
Eppure, oggi molte parti del continente stanno conoscendo livelli di crescita economica mai sperimentati in precedenza e questo sta cambiando radicalmente le abitudini e gli stili di vita che si stanno progressivamente adeguando a standard più ricchi ed esigenti, mentre è previsto il raddoppio della popolazione. Bisogna capovolgere la cartina europea. Il sud Italia non è il fanalino di coda ma il punto più alto dell’Europa. Questo vuol dire che bisogna guardare all’Africa in una prospettiva di cooperazione per una crescita economica reciproca, dell’Africa e dell’Europa. Il Mediterraneo è l’area nella quale l’Italia e il suo Mezzogiorno, attraverso un’indispensabile opera di adeguamento infrastrutturale e tecnologico, possono svolgere un ruolo essenziale di ponte per gli scambi e gli investimenti tra il continente europeo e quello africano, in forte espansione economica e demografica. Un’opportunità per l’economia africana ma anche per le nostre imprese paragonabile allo sviluppo asiatico e che l’Europa non può e non deve ignorare, per il bene di tutti.

Istituzione dell’Area Mediterranea di libero scambio

Sosteniamo l’opportunità di istituire un’area di libero scambio tra Europa e Africa che permetta all’Europa di affiancare e superare la Cina come partner economico privilegiato dell’Africa in un quadro di regole certe e condivise che prevengano la concorrenza sleale e anzi sostengano la crescita e lo sviluppo. A questo scopo vogliamo l’istituzione di un Commissario Europeo con una delega specifica per il Mediterraneo. Questo richiede massicci investimenti in infrastrutture fisiche, digitali e socio-culturali finanziate attraverso un migliore uso dei fondi europei, ma anche con un impegno di risorse nazionali da tempo destinate ad altre spese, spesso improduttive. Solo così si trasformerebbe il sud da “terra del reddito di cittadinanza”, a “terra della cittadinanza del reddito”.

maggio 5, 2019

Per un’Europa ecologista

Il futuro è un diritto che vogliamo garantire a chi verrà dopo di noi. Per questo chi investe oggi deve investire soprattutto sul domani del pianeta.

Mai come oggi, è fondamentale l’attenzione per il nostro pianeta. La lotta ai cambiamenti climatici e agli sprechi ambientali deve essere condivisa da tutti e dove l’impatto di un singolo può cambiare le cose, l’impatto di tutta l’Europa può fare davvero la differenza. L’Europa in cui crediamo è un’Europa che mette in primo piano la sostenibilità, facendola diventare l’asse portante di politica, economia, ricerca, industria, sviluppo. Per non lasciare ai nostri nipoti un continente alla deriva, dalle città fino al mare, dobbiamo ridurre il nostro impatto sull’ambiente, cercando energie sempre nuove e sempre più pulite. Perché il futuro del pianeta è una nostra responsabilità, a cui siamo chiamati a rispondere. Insieme.

Strategie condivise per un futuro comune

Per contrastare il riscaldamento globale è imprescindibile la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e la tabella di marcia dell’Europa deve essere aggiornata per poter ambire alle zero emissioni nette entro il 2050 e alla fuoriuscita dal carbone entro il 2030. Per raggiungere questi obiettivi, è essenziale che l’Unione si concentri su una serie di nuove misure e richieda a tutte le imprese e attività che producono CO2 una disponibilità costante di dati circa le loro emissioni. Tra le misure da promuovere, crediamo sia particolarmente importante l’eliminazione progressiva dei sussidi e dei finanziamenti dannosi all’ambiente negli Stati membri e l’introduzione di un prezzo minimo europeo delle emissioni di CO2 che integri il mercato europeo delle emissioni per i settori ancora non coperti dall’European Trading Scheme. Vanno inoltre varate linee guida europee per incentivare mercati volontari di carbonio a livello locale tra aziende produttrici di emissioni e aziende capaci di fissare le biomasse, una strategia europea per le foreste che tenga conto dell’apporto della silvicoltura non solo per la tutela del suolo, ma anche per la fissazione di carbonio, e un piano europeo per riqualificazione ambientale urbana che includa strumenti per rendere i cittadini più consapevoli del rilievo del verde metropolitano per la lotta al cambiamento climatico e per il miglioramento della qualità dell’aria.

Un patto con le città: economia circolare e ciclo dei rifiuti

La riduzione della produzione di rifiuti e lo sviluppo di una vera economia circolare sono un’altra delle priorità di cui dovrà farsi carico l’Unione Europea per garantire uno sviluppo sostenibile. Occorre spostare il costo dello smaltimento dei rifiuti, in particolare degli imballaggi, sui produttori, incentivando le bioplastiche ed estendendo a tutti i beni di ampio consumo l’applicazione della recente direttiva sulle plastiche monouso. Vanno introdotti criteri più chiari sull’utilizzo dei materiali riciclati, facilitandone e incentivandone l’utilizzo in particolare da parte delle pubbliche amministrazioni. Al riuso di prodotti e materiali creati artificialmente, va affiancato un miglior utilizzo delle risorse idriche, energetiche e alimentari. In particolare, è necessario lo stanziamento di un budget europeo specifico per ammodernare le reti idriche e per limitare la dispersione d’acqua, come anche per adeguare il parco immobiliare e il parco auto negli Stati membri, attraverso la progressiva sostituzione con auto ibride o a gas naturale delle auto tradizionali e investimenti comunitari sul lungo periodo nelle infrastrutture per l’auto elettrica.

Un patto con la terra: produrre di più consumando di meno

L’agricoltura del futuro deve cogliere e vincere la sfida dello sviluppo sostenibile. Con una popolazione globale in aumento, e con ampie zone del pianeta, a cominciare dall’Asia e dall’Africa, che conoscono una fase di sviluppo che sta facendo uscire vasti strati di popolazione dalla povertà assoluta, è indispensabile promuovere un modello di sviluppo agricolo che garantisca una produzione adeguata di risorse alimentari a un costo accessibile, e un buon livello di redditività per le aziende agricole. Per questo sosteniamo la necessità di una Politica Agricola Comune che promuova la produttività delle imprese e al tempo stesso l’uso sostenibile delle risorse, a cominciare dalla terra coltivabile. Per questo è necessario promuovere l’innovazione in ogni fase dei processi produttivi, la rimozione degli ostacoli alla commercializzazione e alla coltivazione di varietà che consentono maggiori rese diminuendo gli input produttivi, e riducendo così l’impatto ambientale dell’agricoltura, e modelli di gestione aziendale ispirati a criteri di sostenibilità ambientale.

Un patto con il mare: la tutela del Mediterraneo

Il deterioramento del Mediterraneo sta danneggiando, oltre all’ecosistema, molte attività economiche. Ci impegniamo a tutelare il mare, rimettendo a gara la gestione delle spiagge con criteri ambientali all’altezza dei tempi, investendo nella depurazione dei fiumi e delle acque reflue, regolamentando lo sfruttamento degli stock ittici e varando una pianificazione dello spazio marittimo, promuovendo investimenti in settori all’avanguardia come l’eolico offshore e lo sfruttamento dell’energia delle maree.

Transizione energetica: un progetto pan-europeo

Vogliamo implementare una transizione energetica per un progetto pan-europeo, che abbia come obiettivo l’efficienza economica, l’indipendenza energetica, la sicurezza dell’approvvigionamento e la tutela dell’ambiente. Bisogna completare la liberalizzazione del mercato interno dell’energia e il potenziamento della rete trans-europea.

Mobilità sostenibile per la tutela del territorio

Un modello di sviluppo più sostenibile richiede di rivedere in profondità gli attuali sistemi di mobilità, nelle città come nei piccoli centri e nelle aree rurali. È fondamentale aumentare la diffusione dei modelli di mobilità condivisa e investire nello sviluppo di macchine e biciclette elettriche pienamente sostenibili dal design allo smaltimento. È possibile farlo ricorrendo ai fondi europei per gli investimenti in questo campo, spingendo i grandi gruppi industriali a collaborare per la creazione di servizi per la mobilità condivisa, e varando un piano di mobilità prossimale con sviluppo di piste ciclabili o soft-mobility per brevi e lunghe distanze. Un coordinamento e incentivi europei aiuterebbero anche le zone meno propense a effettuare questa transizione. Questo vale soprattutto per i piccoli centri e nei luoghi in cui queste forme di mobilità servono anche a tutelare il patrimonio artistico e lo sviluppo turistico del territorio. I progetti devono essere declinati in una logica di tutela e comprensione del patrimonio culturale e di servizio al patrimonio culturale.

maggio 5, 2019

Europa in Comune

Dalla grande città al piccolo comune, tutta l’Italia è Europa. È tempo di far sentire vicine ai cittadini le istituzioni europee. Che possono fare tanto, anche a distanza.

A chi chiede meno Europa, noi diciamo che invece abbiamo bisogno proprio di più Europa. Abbiamo bisogno di avere più Europa nella nostra vita di tutti i giorni. Un’Europa più vicina alle persone. Perché l’Europa deve ripartire proprio da qui: dai sogni e dai bisogni dei suoi cittadini. Che vivano in città o in provincia, in alta montagna o nel più profondo Mezzogiorno, tutti hanno il diritto di sentirsi tutelati. Il sogno europeo è un sogno grande ma può davvero realizzarsi solo se ci riguarda tutti.

Portale unico per una partecipazione democratica europea

Per preparare questo processo e rinforzare lo spazio democratico europeo, è utile partire dall’aggregazione e dal rilancio degli strumenti digitali di attivazione delle iniziative popolari europee attraverso la creazione di un unico portale europeo dove attivare e realizzare consultazioni, petizioni, iniziative dei cittadini europei, richieste di accesso agli atti e alle informazioni, dibattiti pubblici indirizzati a tutte le istituzioni europee o con oggetto relativo a tematiche di interesse sovranazionale.

L’Europa delle città e dei territori

Una nuova politica delle città per la crescita dell’Italia e dell’Europa dovrebbe essere orientata alle aspettative, anche nuove, dei cittadini; prevedere una progettazione strategica territoriale e urbana per rilevare la domanda nei vari settori, attraverso la cooperazione e progettazione integrata da parte delle istituzioni locali, delle imprese, del mondo dell’università e della ricerca, e della società civile; aggregare la domanda a livello regionale-nazionale per realizzare le opportune economie di scala. Un ruolo attivo va assegnato alle istituzioni europee nel promuovere queste iniziative e nel coordinare le istituzioni locali e regionali in funzione di uno sviluppo inclusivo e sostenibile.

L’Europa dappertutto

Una politica di rilevazioni dei bisogni va estesa anche alle aree remote, rurali e montane, per intercettarne le specificità e non comprometterne lo sviluppo. Le differenze tra le diverse regioni d’Europa sono forti, e sono aumentate dall’inizio del millennio. All’origine dell’aumento di questo divario c’è la concentrazione delle attività produttive e dell’innovazione essenzialmente nelle aree urbane. Il bilancio dell’Unione Europea 2021/2027 deve concentrare gli strumenti di finanziamento verso sviluppo e coesione territoriale delle aree non urbane d’Europa (che rappresentano l’80% del territorio) tramite infrastrutture, agricoltura innovativa, recupero edilizio che eviti il consumo di suolo, lotta a esclusione sociale e spopolamento. Fusioni tra comuni nazionali e accordi di cooperazione territoriale transnazionale possono favorirne la miglior applicazione “dal basso”. Per le regioni montane, tanto appenniniche quanto alpine, le esigenze di conciliare ambiente, turismo e benessere locale vanno condivise tramite strumenti ad hoc, come la Convenzione delle Alpi.

Autonomia territoriale

L’autonomia territoriale, sia finanziaria – nel rispetto del principio della tendenziale corrispondenza tra destinatari dei servizi e contribuenti – sia relativa a funzioni amministrative, regolatorie o legislative proprie, è elemento costitutivo di un sistema federale. Solo l’autonomia così intesa garantisce responsabilità istituzionale, legando direttamente l’amministrazione territoriale, dotata di funzioni e tributi propri, ai residenti contribuenti. È opportuno che la fiscalità nazionale e locale in Europa sia, nei limiti del possibile, coordinata con il processo di unificazione ed integrazione continentale.

Tax free zones e incentivi per un Mezzogiorno più vitale

Da decenni sentiamo raccontare dell’importanza dell’Europa per le regioni del sud, soprattutto per i fondi comunitari; ma questa spesa resta disfunzionale, a macchia di leopardo e spesso inutilizzata o sottoutilizzata. Occorre rendere finalmente efficiente la coesione territoriale europea come strumento per dare centralità ai territori e potere ai cittadini, migliorando le modalità e la qualità della spesa degli Enti Locali. Le eccellenze imprenditoriali del Sud devono contagiare il territorio e stimolare i tanti talenti meridionali a partecipare attivamente nella vita economica del Paese. Per troppo tempo la politica ha guardato inerme all’emorragia che da anni investe il Sud e che porta a uno sbilanciamento generazionale e l’abbandono dei territori e delle aree interne. Serve il coraggio di misure ed investimenti adattate ai territori, ad esempio con il ripensamento dei sistemi di incentivi, la promozione di “tax free zones” e rafforzando modelli di zone economiche speciali a sostegno dell’imprenditoria, in particolare giovanile.

Hub della conoscenza per il Mezzogiorno

Ci impegniamo perché +Europa sia portavoce del valore che il Mediterraneo ha per il Mezzogiorno, creando “hub della conoscenza” nelle Università del Sud ad alto potenziale, attraendo e trattenendo giovani talenti stranieri con borse di studio, programmi in lingua straniera, partnership con le migliori università del Mediterraneo e dei Balcani. Investire in formazione è la prima condizione per costruire rapporti duraturi di carattere culturale, politico e commerciale.

La salute a portata di tutti

Salvaguardando la competenza nazionale sulla sanità e sulla tutela della salute, l’Europa deve rafforzare il suo ruolo di regolatore e di pianificatore dell’offerta sanitaria, per garantire degli standard minimi di assistenza che ogni paese membro deve rispettare. Contrariamente a quanto siamo portati a ritenere, la mobilità sanitaria all’interno dell’Unione è un’opportunità da cogliere, a condizione che non sia unidirezionale, come avviene oggi, ovvero dai paesi con servizi di minore qualità verso i paesi con i servizi migliori, senza alcuna reciprocità. Va promossa la cooperazione tra i diversi sistemi sanitari nazionali, al fine di distribuire con maggiore equilibrio geografico in tutto il territorio dell’Unione Europea i centri specialistici di eccellenza, in modo da razionalizzare i costi e ridurre i debiti sanitari delle regioni più povere verso quelle più ricche.

maggio 5, 2019

Perchè l’Italia del futuro

Per un paese all’altezza del suo ruolo nel mondo. Perché l’Italia torni a essere un esempio e non il fanalino di coda dell’Europa.

Un’altra Italia esiste, ed è un’Italia di cui andare fieri. È il paese di chi ha voglia di crescere, di tornare ad essere grande. Di chi crede nei diritti e nella libertà, e non vuole cedere neanche un passo a chi invece ce li vuole togliere. È un’Italia che non si arrende, che vuole cambiare con coraggio ciò che la rende debole. Un’Italia più tecnologica, più efficiente e meno burocratica. Un’Italia davvero credibile perché crede nel lavoro, nella partecipazione, nell’istruzione, nella cultura e nell’innovazione. E il punto di partenza per un’altra Italia come questa è soltanto uno: l’Europa.

Crescere in ogni senso, anche in credibilità

Seppure il dibattito politico in Italia tenda ad attribuire l’origine dei nostri problemi a cause esterne, l’economia italiana è malata per ragioni profondamente “italiane”. Il Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite è più basso di quello di vent’anni fa, mentre nello stesso periodo di tempo è cresciuto in tutti i paesi OCSE, Grecia compresa. Anche la produttività del lavoro ristagna e troppa poca gente è al lavoro. Il tasso d’occupazione (62,3% nel 2017) è, dopo la Grecia, il più basso nell’Unione Europea e solo una donna su tre al Sud lavora. Poi c’è il debito pubblico (131,2% del PIL nel 2017), il più alto dell’Unione dopo quello della Grecia. In queste condizioni l’Italia – pur essendo uno dei quattro paesi più popolosi e un membro fondatore dell’Unione Europea – non ha la credibilità per incidere sulle scelte europee di politica economica. Il Governo ha prima scelto lo scontro frontale con Bruxelles su deficit e debito, poi di imboccare la strada di riforme (quota 100 per le pensioni, reddito di cittadinanza) che aggravano tutti i nostri mali: crescita, occupazione, produttività e finanza pubblica. L’Europa può aiutarci, investendo su infrastrutture comuni (grandi reti europee nei trasporti, telecomunicazioni ed energia), completando il mercato interno e offrendo quindi più opportunità alle molte imprese italiane che competono in Europa, rivedendo alcuni dei vincoli di Maastricht introducendo una golden rule per gli investimenti pubblici, soprattutto in ricerca e sviluppo. Ma perché l’Europa compia questi passi, è necessario che l’Italia riacquisti credibilità.

Meno burocrazia, meno evasione, meno tasse

L’Italia può e deve tornare a crescere. Può e deve essere un paese in cui si crei lavoro e benessere, dove lo sviluppo economico vada di pari passo con il rispetto dell’ambiente e l’inclusione sociale. Lo spazio per ricominciare a crescere è l’Europa. Per risalire la china occorre investire sul futuro: sull’istruzione, la ricerca, la formazione professionale. Devono tornare a crescere gli investimenti, sia pubblici che privati. Bisogna tagliare la burocrazia investendo sulla formazione di manager e dirigenti pubblici con sufficienti poteri per incidere sulla macchina amministrativa e cambiarla dal di dentro. Vanno tagliate le spese e le agevolazioni fiscali dannose o improduttive, soprattutto quelle che incentivano comportamenti nocivi per l’ambiente, e va esteso il contrasto all’evasione fiscale, per abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese. Va radicato il principio per cui il benessere attuale non può essere scaricato, attraverso un ricorso irresponsabile all’indebitamento pubblico, sulle generazioni di domani.

Ridurre il debito è una nostra responsabilità

Bisogna rimettere l’Italia su un percorso di riduzione del debito pubblico, e di ritrovata credibilità sui mercati finanziari. L’immediato effetto di un annuncio credibile di ritrovata responsabilità fiscale porterebbe a un drastico calo degli interessi sul debito. Al contrario, da quando è in carica questo Governo, il loro aumento ci costa tra i 5 e i 9 miliardi di euro. Secondo stime fornite dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, una riduzione di 100 punti dello spread consentirebbe di risparmiare circa 30 miliardi fino al 2021. Se lo spread scendesse di 150 punti le risorse sarebbero ovviamente maggiori. Ad ogni modo, il solo incremento di credibilità porterebbe a risparmiare oltre 10 miliardi l’anno di interessi sul debito.

La tecnologia a servizio della legalità

Vogliamo un intervento sulla tassazione a livello europeo delle società che operano su più paesi e sfruttano regimi di tassazione favorevoli, soprattutto dei giganti del web. In Italia, vogliamo una politica di contrasto seria all’evasione fiscale che costa all’Italia più di 100 miliardi all’anno. Va incentivato l’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili per contrastare il lavoro nero e garantire la concorrenza leale tra attività economiche emerse. Legalità e lotta alle mafie sono al centro dell’agenda di +Europa, per non lasciare i cittadini soli a difendere i principi dello stato di diritto. Il termometro della legalità passa dalla cultura e da processi educativi virtuosi, ma anche da come ripensiamo burocrazia e trasparenza dei processi. In questo, la digitalizzazione è fondamentale perché consente a imprese sane di investire evitando intoppi ed è strumento di contrasto alla corruzione.

Una giustizia all’altezza dell’Europa

L’inefficienza della giustizia è un freno allo sviluppo e alla crescita del paese. Quasi 5 milioni di procedimenti pendenti, una durata media (952 giorni in primo grado e di 3127 giorni per arrivare in Cassazione) doppia rispetto alla media mondiale e tripla rispetto a quella di paesi come Francia e Germania e un costo dei ritardi stimato in 16 miliardi l’anno: un punto di Pil. L’inaffidabilità della giustizia italiana scoraggia gli investimenti esteri e limita la competitività del sistema economico senza contare il danno arrecato all’erario dai risarcimenti. Inoltre prevale un utilizzo opportunistico del sistema giudiziario: la lunghezza e incertezza del processo ne favoriscono l’abuso, ma l’abuso del processo ne esaspera lunghezza e incertezza. È necessario spezzare questo circolo vizioso con misure che aumentino l’efficienza degli uffici giudiziari: in prospettiva una giustizia più rapida, giusta ed efficiente contribuirebbe a scoraggiare il ricorso strumentale al processo, cosa che alleggerirebbe a sua volta il carico di lavoro dei magistrati, oggi elevatissimo. È necessario arrivare alla separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante.

Impresa e università: rinnovate e sempre più vicine

Va promosso un nuovo modo di fare impresa, più aperto al merito e all’apporto di competenze e investitori esterni, più votato alla crescita e meno legato a logiche di mera sussistenza. Le imprese devono crescere di dimensioni, adottando strutture di governance più moderne e sperimentando forme più incisive di aggregazione. Le imprese dovranno essere sempre più parte di un ecosistema integrato con il mondo dell’università e della formazione. Quest’ultimo produce spesso conoscenza che pochi vogliono o sanno trasformare in innovazione e in soluzioni, prodotti commerciali e modelli di business vincenti. Le università vanno incentivate maggiormente affinché possano investire in ricerca e brevetti e attrarre finanziamenti privati. Dovrebbero essere creati meccanismi forti di incentivo per università e centri di ricerca che moltiplichino i fondi conferiti dalle aziende, e facilitino collaborazioni di tipo continuativo anche nella didattica, per esempio con progetti di lavoro sviluppati insieme da università e aziende o altri programmi di didattica applicata.

maggio 5, 2019

Verso gli Stati Uniti d’Europa

Un’Europa riformata e davvero federale, per essere ancora più forti.
E uniti, come non lo siamo mai stati.

L’Europa ha un solo modo per fronteggiare le sfide del nostro tempo: restare unita. Noi la vogliamo così. Unita, federale e democratica. Forte nelle sue diversità, perché crediamo che assicurare più libertà decisionale all’Ue voglia dire anche rispettare l’autonomia delle singole comunità, le loro risorse, le loro tradizioni e le loro decisioni. Insieme possiamo sentirci più al sicuro per affrontare le pressioni delle altre potenze mondiali, insieme possiamo essere un simbolo di democrazia e giustizia. Insieme, possiamo rendere l’Europa un posto dove tutti possano sentirsi a casa.

Riforme per un’Europa più democratica

Vanno introdotte innovazioni politico-istituzionali e sociali mediante ciò che i trattati e il diritto europeo già consentono di realizzare: liste elettorali transnazionali (partiti paneuropei) e collegio elettorale europeo; capacità legislativa propositiva del Parlamento europeo al pari dei parlamenti nazionali; istituzione di veri e propri ministri europei; elezione diretta del Presidente della Commissione europea. Va perseguita l’integrazione politica, ovvero l’edificazione di una Unione federale europea con un modello che consenta una redistribuzione dei poteri, un passaggio avviato dagli Stati membri e legittimato attraverso un Patto fondativo che stabilisca la struttura costituzionale dell’Unione federale europea come presupposto della modifica delle costituzioni nazionali in un processo di unificazione federale.

Una vera Costituzione Europea e un nuovo Parlamento

In parallelo a questo, proponiamo una fase costituente più ampia ed estesa, una riforma istituzionale e politica volta a istituire un nuovo parlamento e introdurre una forma di governo europea capace di garantire governabilità e rappresentatività, con lo scopo primario di salvaguardare i principi di democrazia, libertà, pluralismo e Stato di diritto. La costruzione degli Stati Uniti d’Europa dovrà seguire un modello di federalismo armonico e perequativo.

Vogliamo un Parlamento agile composto da due rami con funzioni e modalità di elezioni differenti. La Camera dei Rappresentanti eletta direttamente dai cittadini europei e un Senato federale, rappresentativo degli Stati, ma anche delle principali aree metropolitane e delle regioni europee, completato con rappresentanti degli altri enti territoriali, naturalmente con diritto di voto.

Un’Europa più forte nel mondo

Solo un’Europa forte e coesa è in grado di competere a livello internazionale con gli altri attori della politica e dell’economia globale. Dobbiamo, come europei, riprendere in mano il nostro destino: è necessario farlo di fronte a una Russia ostile – che sempre più scommette sul fallimento del progetto europeo e sulla nostra disunione per guadagnare spazi di influenza e di potere – e di fronte a un competitor commerciale globale come la Cina, con la quale non dobbiamo rinunciare a confrontarci sul piano dei valori e delle libertà, e della quale misuriamo la crescente potenza strategica e militare e la capacità di penetrazione economica. Anche gli Stati Uniti d’America della presidenza Trump hanno mutato radicalmente il loro approccio geopolitico verso un sostanziale e pericoloso isolazionismo che obbliga l’Europa a rafforzarsi come potenza globale indipendente. Alla luce delle gravi violazioni del diritto internazionale, come l’annessione della Crimea, o il pervicace blocco di ogni soluzione costruttiva che non sia finalizzato ai propri interessi messo in atto dalla Russia di Vladimir Putin, siamo favorevoli all’apertura del negoziato per l’adesione all’Unione Europea da parte dell’Ucraina e guardiamo con favore quella dei paesi balcanici che ancora non fanno parte dell’Unione.

Superamento del voto all’unanimità nel Consiglio dell’Unione Europea

Non è immaginabile pensare che si possano affrontare divisi le grandi sfide che abbiamo di fronte. L’Europa, negli ultimi anni, ha perso credibilità e influenza, si pensi al Medio Oriente, alla crisi libica e all’instabilità crescente nell’Africa sub-sahariana, perché, al momento di decidere, è stata paralizzata dalla necessità di procedere all’unanimità nelle decisioni di politica estera e di sicurezza prevista oggi dai Trattati per il sistema di votazioni del Consiglio dell’Unione Europea. Occorre abolire la regola dell’unanimità e passare, come per tante altre politiche comuni, a un sistema di voto a maggioranza che consenta finalmente all’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione di parlare con una sola voce.

Seggio permanente dell’Ue all’Onu

Vogliamo l’istituzione di un seggio permanente per l’Unione europea al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Con la probabile uscita della Gran Bretagna dall’Unione, la Francia rimane l’unico stato membro a disporre di un anacronistico seggio permanente e conseguente diritto di veto. Il passaggio ad un seggio permanente per l’Unione europea consentirebbe il salto di qualità necessario per dotare l’Europa dei mezzi all’altezza delle proprie ambizioni.

Protezione comune di stati e confini

Va redatto un libro bianco sulla sicurezza e la difesa dell’Unione, nel quale siano analizzate tutte le minacce alle quali l’Unione europea nel suo insieme è esposta e da cui nel suo insieme deve essere in grado di difendersi; vogliamo l’istituzione di un esercito e di una guardia costiera europea comune, tenendo fermi due criteri fondamentali. Da un lato la piena integrazione istituzionale e politica di tale esercito nelle attuali istituzioni dell’Unione: in questo quadro il Consiglio europeo dovrebbe agire come Alto Consiglio di Sicurezza dell’Unione abilitato ad autorizzare, su proposta del Presidente della Commissione, il dispiegamento dell’esercito comune. Dall’altro l’esclusione dell’opzione di un mero coordinamento o di una semplice integrazione funzionale di segmenti di eserciti nazionali, a vantaggio dell’opzione della creazione di un esercito comune europeo composto da soldati ed ufficiali europei.